2.3 Sviluppo di comunità e intervento psico-sociale

IDENTITÀ, MEMORIA E SVILUPPO DI COMUNITÀ

Alfredo Mela – Politecnico di Torino (Ester Chicco – Asl Torino; Anna Maria Bastianini - Scuola Adleriana di psicoterapia – Torino)

Gli interventi di cooperazione internazionale ispirati alla psicologia di comunità comportano di confrontarsi con il tema dell’identità delle comunità e con quello della conservazione e trasmissione della memoria. La memoria (delle tradizioni, degli eventi e delle figure più significativi per la storia della comunità ecc.) rappresenta un aspetto essenziale per il mantenimento e la costante rielaborazione dell’identità, come pure per il rafforzamento della resilienza comunitaria. Al tempo stesso – specie se riferita ad eventi traumatici collettivi – essa può correre il rischio di costituire un blocco allo sviluppo ed al pieno dispiegamento delle potenzialità, tanto a livello individuale, quanto alla scala comunitaria. Il paper intende proporre una riflessione su questo tema, mettendo in luce il ruolo che possono avere nell’affrontarlo i progetti di cooperazione universitaria, che pongano in relazione reciproca soggetti appartenenti a diverse culture e che presuppongano un ruolo paritario (anche se diversificato nei contenuti) di leader comunitari, organizzazioni del Terzo Settore, operatori del campo psicologico e sociale, esperti di Università del Nord e del Sud del mondo.

 

 

LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE NEL SETTORE DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA: IL PROGETTO TEMPUS

Norma De Piccoli - Dipartimento di Psicologia, Università di Torino (Silvia Gattino, Cristina Mosso – Università di Torino)

TEMPUS finanzia, attraverso fondi dell’UE, la modernizzazione delle università nei Paesi partner e contribuisce alla creazione di un’area di cooperazione nel settore dell’istruzione universitaria tra l’Unione europea e i Paesi Partner confinanti con l’Unione europea. In particolare, il programma promuove la convergenza volontaria verso gli sviluppi della politica europea nel settore universitario, così come sono stati delineati dall’agenda di Lisbona e dal Processo di Bologna. Tra i suoi obiettivi specifici si segnalano: - superare la frammentazione del sistema universitario tra Stati e tra istituzioni dello stesso Stato; - rafforzare inter-disciplinarità e trans-disciplinarità;  - rafforzare l’impiegabilità dei laureati; - fare dell’Università europea un’area più visibile e attraente nel mondo; - incoraggiare lo sviluppo delle risorse umane; - accrescere lo scambio reciproco tra popoli e culture dell’UE e dei Paesi Partner. Quanto premesso è tratto dai documenti della CRUI, che promuove il coinvolgimento degli Atenei Nazionali nel programma Tempus. La presente comunicazione parte da un’esperienza diretta delle docenti proponenti, e porterà la riflessione sulla “trasformazione culturale” che subisce una teoria scientifica quando è trasmessa e applicata in contesti socio-culturali diversi da quelli occidentali. Infatti, se le discipline scientifiche hanno, tra l’altro, la funzione di favorire il benessere delle società e delle comunità, allora è necessario anche uno scambio e un incontro culturale che consentano di superare una prospettiva “occidentocentrica” e permettano alle discipline di porsi con un approccio emico. Ciò non significa mettere in discussione decenni di teorie che costituiscono delle pietre miliari del sapere scientifico, ma prefigura un adattamento dei modelli teorici al background sociale, culturale ed etico.

 

 

COOPERAZIONE, DISCORSO, CAMBIAMENTO: BIAS NEL DISCORSO ACCADEMICO SUL CONFLITTO

Davide Ziveri - Università Complutense di Madrid (Angela Fedi – Università di Torino)

Nella società-rete globale la valutazione di efficacia di qualsiasi intervento di cooperazione dovrà necessariamente tenere presente il feedback che l'azione comporta sul contesto del donor, a maggior ragione per il fatto che questi sarà un paese con un alto indice di sviluppo e verosimilmente di influenza politico-economica. Il primo sarà conseguenza delle attività sul campo, il secondo del discorso che si esprime in una varietà di forme, con particolare diffusione in ambiente digitale, e che contribuisce in primo luogo alla rappresentazione del tema focus (conflitto, povertà, etc.), a costruire l'immagine (e i relativi frame che questa attiva) sul sud del mondo, e, infine, dato il potere soggettivizzante del discorso, a dire molto anche su chi agisce la cooperazione, arrivando a definire la struttura della rete di relazioni in modo non equo, né paritario. Questo discorso può essere quello non mediato degli attivisti (tipo A), verace, veritiero, e soggettivo, e quello mediato (tipo B) che inevitabilmente soffre se non altro del bias ontologico dell'alterità di una prospettiva etica. La questione da porsi riguarda la coscienza dei limiti di questo bias quando è in gioco un discorso di tipo accademico. Questo ambito di analisi e conoscenza è influenzato dai frame egemonici e da dinamiche di potere che possono (1) costituire un serio rischio alla rappresentazione scientifica dei contesti, (2) impedire di prestare la dovuta attenzione ai casi particolari invalidando le potenzialità della serendipità, (3) influenzare un certo tipo di azione a seguito di una restrizione del discorso possibile. Partendo da un case-study situato nel contesto del conflitto israelo-palestinese, si analizza il discorso di tipo A e tipo B che ha come oggetto una buona pratica di intervento psicosociale di supporto a una comunità in difficoltà a causa della violenza politica, e ci si interroga criticamente sui frame dominanti nel discorso accademico, nel sapere ri-situato nella nostra cultura.

 

 

APPRECIATIVE INQUIRY IN SAINT MARTIN: EXPLORING THE POTENTIAL FOR CHANGE

Manuel Marrese – Università degli Studi di Trento

The paper presents a participatory action-research carried out in Saint Martin CSA, a grass-root organization that operates around Nyahururu, Kenya in the field of social development. The research-method adopted is Appreciative Inquiry, a strength-based collaborative approach to organizational and societal change, which is used to explore the extent to which a participatory approach can promote empowerment in the community.  Saint Martin is a grass-root organization that has embraced in full the participatory approach, as it clearly emerges from its motto “Only through community”, which points to the fact that any decision taken by Saint Martin is to be agreed upon within the community since it is the community who will take care of its implementation. In fact, community-based development is about giving the ownership of a project to people in the community, and that can only be possible if the community has taken part to the decision-making process. Too often that is not the case due to a development discourse that leaves the local people at the margins of the development process on the assumption that there is nothing they can contribute to.  Appreciative Inquiry steps in the debate by promoting a radical paradigm shift, whereby the focus of the analysis is on strengths, rather than weaknesses, and the idea is that by investigating the moments when an organization or a community has achieved its best and work on those moments of excellence to build a positive image for the future better results can be achieved. Such approach is considered necessary in development practice since it appears to be a good strategy to involve local communities, having them contributing with their knowledge and expertise in the decision-making process, this way accelerating the process of change that ultimately leads to empowerment in the community and the promotion of sustainable development.

 

 

CINEMA AFRICANO E COOPERAZIONE INTERUNIVERSITARIA A NGOZI (BURUNDI)

Emanuela Gamberoni – Università di Verona

L’Università di Verona è coinvolta dal 2001 in un accordo con l’Università di Ngozi, nel Burundi settentrionale, che si è concretizzato in attività d’insegnamento di docenti veronesi per il corso di Sciences Infirmières - Institut Universitaire des Sciences de la Santé (IUSS) e nella costruzione (2008) di un centro didattico dotato di aule, biblioteca, sala di informatica e laboratori. La presenza di questi nuovi spazi e l’intercettazione di bisogni socioculturali della comunità studentesca hanno portato nel 2012 alla co-progettazione di una rassegna di cinema africano. Tale rassegna risponde a una molteplicità di obiettivi: favorire la conoscenza della ricca filmografia africana in un contesto dove mancano sale di proiezione e, laddove presenti, hanno costi elevati; avviare un utilizzo polivalente del centro didattico, fruibile come centro culturale per l’intero territorio; sviluppare una rete d’interazione tra soggetti locali quali i cineasti burundesi, gli organizzatori del Festival International du Cinéma et de l’Audiovisuel du Burundi (FESTICAB), il Rettore dell’Università di Ngozi, la direttrice dello IUSS, gli studenti e i loro rappresentanti.  Questa rete è integrata da altri attori quali gli organizzatori del Festival del Cinema Africano di Verona, studenti africani e docenti dell’ateneo veronese: l’insieme dei soggetti partecipa alla verifica dei saperi disponibili e alla loro condivisione. L’approccio metodologico aperto e partecipativo ha una sua valenza innovativa nel coinvolgimento degli studenti burundesi già nella fase di selezione delle pellicole da proiettare. Ciò genera una irrinunciabile opportunità di dialogo tra di loro su temi ancora difficili da affrontare in ragione della recente guerra etnica e delle sue conseguenze umane e territoriali. Nel più ampio quadro sociale che richiede nuove forme di coesione, ogni film diviene altresì il dispositivo atto a far emergere saperi tradizionali nel loro confronto con la modernità.

© Politecnico di Torino - Credits