6.2 Collaborare alla conservazione del patrimonio culturale nel Sud del mondo

ANTROPOLOGIA, PATRIMONIO E COOPERAZIONE CULTURALE

Cecilia Pennacini – Università di Torino

L’antropologia, la “scienza della cultura”, ha a lungo utilizzato un impianto epistemologico che tendeva a occultare la dimensione della collaborazione locale. Solo in anni abbastanza recenti l’apporto imprescindibile dei partner locali ha iniziato ad essere riconosciuto, tematizzato e teorizzato. Si fa strada così l’idea di un’antropologia collaborativa fondata sul coinvolgimento sistematico di comunità e istituzioni locali, con cui negoziare obiettivi e metodi di ricerca (si veda tra gli altri Lassiter 2005, Rabinow 2011). In questa prospettiva, lo studio e la conservazione dei patrimoni culturali materiali e immateriali - di cui gli antropologi sono specialisti - e più in generale della cooperazione culturale, emerge in quanto obiettivo prioritario. Si tratta tuttavia di un campo tutt’altro che privo di criticità. La nozione stessa di patrimonio - che l’Unesco ha contribuito a diffondere su scala globale - scaturisce da una concezione tipicamente occidentale che privilegia oggetti, edifici e monumenti da sottoporre a processi di musealizzazione. Ben diverse appaiono le concezioni africane del patrimonio, profondamente radicate nella dimensione del sacro e della natura. Inoltre, le politiche del patrimonio implicano il dispiegamento di interessi politici ed economici che possono dar luogo a conflitti. Sulla base di alcune esperienze di ricerca maturate nella regione africana dei Grandi Laghi, nell’ambito della Missione Etnologica Italiana in Africa Equatoriale (Ministero degli Affari Esteri)  e del progetto CORUS “Approche socio-historique de sites sacrés naturels et enjeux contemporains autour de la preservation de ce patrimoine (Kenya, Madagascar, Ouganda) dell’IRD, il paper tenterà di analizzare diversi  approcci al patrimonio che si incontrano e si scontrano sul terreno della cooperazione culturale, valutandone rischi e vantaggi.  

 

L’UNESCO COME ATTORE DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE. RIFLESSIONI CRITICHE SUL PATRIMONIO DELL’UMANITÀ

Giacomo Pettenati – Politecnico di Torino

L’UNESCO è stata istituita, nel 1946, con l’ obiettivo di contribuire alla costruzione della pace mondiale attraverso la diffusione della cultura, dell’istruzione e della conoscenza reciproca tra i popoli. Alla base,  il principio sul quale si fonda la costituzione dell’Unesco: “poiché le guerre nascono nello spirito degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste le difese della pace”. Fin dall’inizio è apparso evidente che gli ambiziosi programmi educativi e culturali intrapresi dall’Unesco sarebbero risultati tuttavia scarsamente efficaci, se non supportati da un tentativo di ridurre le disparità economiche e sociali – oltre che culturali – tra le diverse parti del mondo. Perciò, la maggior parte di programmi dell’istituzione è stata rivolta prioritariamente ai paesi in via di sviluppo (attualmente le due priorità globali dell’Unesco sono l’Africa e l’uguaglianza di genere), facendo a tutti gli effetti dell’Unesco un attore della cooperazione internazionale allo sviluppo. Questo contributo si propone di ragionare sul ruolo dell’Unesco come soggetto della cooperazione attraverso il suo programma più noto, ovvero la costruzione della lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (World Heritage List), mettendone criticamente in evidenza luci e ombre. Le prime riguardano le riconosciute opportunità offerte dalla valorizzazione del patrimonio culturale in termini tanto di stimolo per le attività economiche direttamente ed indirettamente connesse con il patrimonio monumentale e paesaggistico, quanto di strumento di diffusione della consapevolezza di una gestione sostenibile delle risorse culturali del territorio. Le seconde sono legate alle critiche che vengono frequentemente mosse nei confronti dell’Unesco e della World Heritage List, considerati strumenti di una globalizzazione culturale omologante,che si sviluppa attraverso la diffusione di un approccio eurocentrico nei confronti dell’identificazione e della gestione del patrimonio culturale. 

 

LA MISSIONE ETNOLOGICA ITALIANA IN GHANA E LA COOPERAZIONE CULTURALE: PROCESSI DI PATRIMONIALIZZAZIONE IN AREA NZEMA (GHANA SUD-OCCIDENTALE)

Giuseppe Schirripa - Dipartimento di Storia, Culture, Religioni - Università di Roma La Sapienza (Matteo Aria, Mariaclaudia Cristofano - Università di Roma La Sapienza; Stefano Maltese - Università di Verona; Elisa vasconi - Università di Siena)

Istituita nel 1956, la Missione Etnologica Italiana in Ghana (MEIG) sostiene da alcuni anni progetti di cooperazione culturale volti alla valorizzazione del patrimonio nzema (Ghana sud-occidentale). Le relazioni di lunga durata intessute in questo territorio tra gli antropologi della MEIG e gli attori locali hanno indotto i rappresentanti delle comunità e le istituzioni ghanesi ad avanzare richieste di restituzione, innescando un processo ancora oggi in atto. In risposta a queste istanze, a partire dagli anni novanta la MEIG ha facilitato l’introduzione della cooperazione internazionale nell’area e l’avvio di programmi di sviluppo incentrati sul micro-credito. Tuttavia, la restituzione delle conoscenze etnografiche si è realizzata prevalentemente attraverso il progetto di cooperazione culturale Fort Apollonia and the Nzemas (2008-11). Tale intervento, gestito dall’ong COSPE in collaborazione con la MEIG e numerosi attori istituzionali ghanesi, è culminato nella realizzazione di un museo della cultura e della storia nzema. Il Fort Apollonia Museum of Nzema Culture and History, inaugurato nel 2010, rappresenta oggi un protagonista di primo piano della salvaguardia e della valorizzazione dei patrimoni culturali e naturali locali, come testimonia la sua recente partecipazione a un progetto di conservazione e digitalizzazione dei documenti custoditi presso gli archivi delle autorità tradizionali nzema, finanziato dalla British Library e dalla Sapienza Università di Roma.  Il paper presenterà le peculiarità del processo di restituzione etnografica in atto in area nzema, focalizzandosi sulle sinergie instauratesi tra gli antropologi e le ONG. In questo modo si intende riflettere su come la presenza di una missione di ricerca possa contribuire alla traduzione della cooperazione allo sviluppo in cooperazione culturale, nonché sugli esiti della complessa relazione tra accademia, attori locali e operatori dello sviluppo in termini di empowerment locale.

  

OPPORTUNITIES TO DEVELOP CULTURAL RELATIONS: THE ETHNOLOGICAL MISSION IN MOZAMBIQUE

Francesca Declich - Università di Urbino 'Calro Bo'

Cultural cooperation is qualified by the fact of being concerned with the conservation and protection of the local cultural patrimony. The ethnological research work relates to cultural immaterial and material heritage that gets collected, classified, described, written about and or organized for exposition in museums.  The entire process of organizing an ethnological mission entails setting up a number of relations with local partners in universities and museums that may lead to a number of different products. These can be publications, video, seminars, workshops, joint training courses etcetera. The very process of organizing the activities in the field set up relations between actors in the cultural production scene that is already one of the results of such missions: young scholars may be trained as a team while they are involved in the research; long lasting relations are entertained among scholars of different universities that can go on for years through the support of an ethnological mission.  Scholarships to have locals to come and study in Italy would be one very good tool to strengthen these cultural relationships which hare not based on expectations of economic development but on the aim of preserving the cultural patrimony. Training of local actors should therefore be supported. Funds for the production of publications would also enhance the visibility of these activities so important for the image of Italy in the targeted countries. The University of Urbino has developed along the years 4 missions with the Ministry of Foreign Affairs. Two archeological missions, one in Libya and one in Jordan at Petra, and two ethnological missions, one in Papua New Guinea and one in Mozambique and Malawi. This paper deals mainly with the mission in Mozambique and Malawi. 

 

BUDDO NAGGALABI CORONATION SITE, OR CULTURAL COOPERATION BY WAY OF ETHNOGRAPHY

Anna Barral - Università di Uppsala, Svezia

Ethnography of cultural heritage management in African contexts enriches studies on musealization and heritagization with complexity and diversity. While institutions (museums, ministries, NGO) apply general and uniform guidelines to the management of sites, an ethnographic analysis shows that peculiar local meanings, related to the immateriality of cultural heritage, to memory and oral culture profoundly affect such process.  While heritagization works towards the public sharing of heritage and its commodification, local communities react by triggering a discourse of autochthony, belonging and rootedness which often contradicts the institutions. Well aware both of the “traditional” value of their sites and the benefits of musealization, local actors express their agency through thick negotiations. Generational clashes, political claims and religious beliefs intertwine, making the process harder.  The paper reflects upon such negotiations in Buddo coronation site (central Uganda). Moreover, it suggests the importance of reflexivity for the anthropologist who deals with issues of patrimonialization in the field, suggesting the peculiar nature of “cultural cooperation”. While aid workers and international organizations tend to “teach” how to deal with local resources, the anthropologist has to “learn” from local negotiations around them, which represent a fascinating entry point into the power games and complexity of a community. Anthropology’s tool box helps to understand the variety of actors which interact in, around and outside a specific site and to highlight the artificial nature of culturalist discourses which often challenge the heritagization process. The paper proposes that this is the specific value of “cultural cooperation” between universities and/or museums from an anthropological perspective, beyond the lack of infrastructures and the fuzziness of legal frameworks which often make it slower and harder than other kind of cooperation.

 

FORME E PROCESSI DI PATRIMONIALIZZAZIONE CONDIVISA IN OCEANIA

Adriano Favole - Università di Torino (Matteo Aria - Università di Torino)

L'intervento intende argomentare la nozione di "patrimonializzazione condivisa" a partire da esperienze di ricerca in Nuova Caledonia e Futuna (Adriano Favole) e in Polinesia francese (Matteo Aria). La nozione di patrimonializzazione condivisa si riferisce a quei processi di valorizzazione di luoghi, di memorie e di tradizioni che scaturiscono da una congiunzione sinergica e creativa tra le narrazioni e le pratiche politiche e culturali europee e globali da un lato e quelle locali dall'altro. Quale influenza hanno avuto gli archeologi francesi nei processi di valorizzazione dei mara'e polinesiani? Quanto hanno influito linguisti ed etnologi francesi nel recupero di tradizioni e patrimoni kanak? E, soprattutto, qual è stato il ruolo dei passeurs culturels, quei leader oceaniani formatisi nella conchiglia avvolgente della Chiesa e nelle Università francesi, nei processi di patrimonializzazione melanesiani e polinesiani? La cooperazione culturale si confronta oggi nel Pacifico "francofono" con una nuova idea di "antropologia condivisa".

LA MISE EN PLACE DU “RABAI KAYA CONSERVATION COMMUNITY PROJECT” (COTE KENYANE) : UN EXEMPLE DE COOPERATION EN RELATION AVEC LES COMMUNAUTES LOCALES

Marie-Pierre Ballarin - IRD-UMR 205 URMIS, Université de Nice Sophia-Antipolis

Les forêts kayas sont une des caractéristiques majeures de la zone côtière du Kenya, pays d’Afrique de l’Est. Sites originels d’habitation, elles sont aujourd’hui placées sous la responsabilité des anciens et conservées comme lieux sacrés et places funéraires. Des règles strictes d’accès permettent de garantir la sacralité de ces forêts : le bois et la végétation ne peuvent être coupés car les kayas recèlent une grande diversité écologique et certains lieux sont investis d’une forte valeur magique. Témoins d’une tradition culturelle vivante, plusieurs d’entre elles ont été inscrites sur la liste du patrimoine mondial de l’Unesco à l’initiative des Musées nationaux du Kenya.

En juillet 2008, des travaux menés par l’Institut de Recherches pour le Développement et les Musées nationaux du Kenya dans le cadre d'un programme du Ministère des Affaires Étrangères français ont contribué au classement de trois des cinq sites sacrés de la localité de Rabai, proche de Mombasa. Ces recherches ont été menées simultanément à un projet d’écotourisme à Rabai, financé par l’Ambassade de France au Kenya, visant à impliquer les populations dans la préservation de leur patrimoine.

Cette intervention vise à montrer que l'étude sur la valeur historique et symbolique de sites sacrés comme les kayas, peut déboucher sur des mesures concrètes en faveur de la préservation et de la sauvegarde d’un patrimoine naturel et culturel. Elle a également pour objectif de montrer que le travail du chercheur doit se faire conjointement avec les institutions et communautés locales dans le sens d’une meilleure prise en compte des actions à mener sur le terrain.

 

SALVIAMO IL SALVABILE. PER UNA NUOVA RETE DI CONOSCENZA: I “GRANAI DELLA MEMORIA” PER SALVAGUARDARE L’ETNODIVERSITÀ E LA BIODIVERSITÀ

Piercarlo Grimaldi - Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, Italia (Davide Porporato - Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi del Piemonte Orientale)

Al presente assistiamo a un articolato dibattito sulla salvaguardia della biodiversità. Una discussione che sembra marcare la frontiera tra il mondo della tradizione, caratterizzato da una complessa biodiversità, e quello del presente, in cui soprattutto il sistema agroalimentare sperimenta e impone sempre più colture industriali. La produzione, il mercato e la cultura sembrano assumere caratteri che inevitabilmente tendono a eliminare le diversità e le specificità che arricchiscono e impreziosiscono i saperi etnici, locali, di comunità, i ritmi spazio-temporali connessi alla natura.

Per superare il percorso strumentale e artificiale che sembra caratterizzare il presente è indispensabile affiancare al concetto di biodiversità quello di etnodiversità, i saperi della tradizione che costituiscono il prezioso patrimonio locale di ogni gruppo umano e che può essere arricchito soltanto attraverso gli scambi tra tradizioni e culture, nella prospettiva scientifica di far dialogare proficuamente e criticamente le due categorie al fine di operare una cognitiva e olistica operazione di sintesi, di alleanza.

L’Università di Scienze Gastronomiche e Slow Food hanno dato vita al progetto di ricerca “Granai della memoria” con il fine di contribuire a salvare la “memoria del mondo” attraverso il recupero dei saperi orali e gestuali, parte costitutiva del processo evolutivo dell’uomo. Questo progetto dialoga proficuamente con un’altra importante iniziativa, l'Arca del Gusto, promossa dalla Fondazione Slow Food per la Biodiversità, nata con il fine di salvaguardare i prodotti alimentari a “rischio di estinzione”. I due ambiziosi progetti hanno dato vita a una rete di individui e soggetti pubblici e privati che lavorano all’individuazione, alla catalogazione e comunicazione dei dati di cultura. La relazione intende dar conto di questo complesso e inedito percorso di ricerca.

 

LA PROMOZIONE DELL’HERITAGE NELLE POLITICHE DI SVILUPPO TURISTICO DEL MOZAMBICO. IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Elisa Magnani - Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Alma Mater Studiorum , Università di Bologna

Il Mozambico è un paese che sta attuando una politica di sviluppo contrassegnata da un lato da un’evidente crescita economica ma dall’altro da un ancora scarso miglioramento delle condizioni di vita della sua popolazione, scarso empowerment e scarsa capacity buiding.

Il turismo può intervenire in tal senso coadiuvando le due necessità del paese: aumentare il PIL e creare benessere. In tal senso, nella prima decade del XXI secolo, il Governo del paese ha intrapreso una politica di sviluppo turistico, codificata nel Plano estrategico para o desenvolvimento do turismo, che fissa significativi obiettivi di crescita della ricettività e delle infrastrutture turistiche da raggiungere antro l’anno 2025, e che prevede un ruolo importante per le popolazioni locali.

Il Plano mette in rilievo alcune debolezze istituzionali che segnano negativamente il settore, quali carenze infrastrutturali, delle risorse umane e di incentivi finanziari per le imprese che vogliono investire nel settore.

Grazie al suo vasto patrimonio di risorse naturali e culturali, al clima, alla presenza di una significativa diversità biologica, pur se danneggiata dai lunghi anni di guerra d’indipendenza e civile poi, il Mozambico potrebbe contare sulla promozione di diverse forme di turismo, grazie soprattutto agli investimenti pubblici e a quelli privati che il settore riesce ad attrarre, ma grazie anche alla creazione di strategie di cooperazione allo sviluppo. Nel paese l’esperienza della cooperazione internazionale è di lunga data, ma il caso della cooperazione nel settore turistico è un’esperienza abbastanza recente, che ha consentito l’avvio di progetti che si stanno rivelando importanti per colmare le lacune individuate dallo stesso Plano Estrategico, come la mancanza di infrastrutture e di professionalità.

Nel corso di questo contributo osserveremo proprio alcuni casi di studio che illustrano come il settore della cooperazione stia affiancando le comunità locali ad attuare le politiche di sviluppo turistico governative, puntando prevalentemente a migliorare la qualità del servizio turistico offerto, sia in termini di creazione di infrastrutture che di professionalità. Sebbene una valutazione complessiva dell’effettivo successo di queste esperienze sia al momento ancora impossibile, data l’attualità della loro attuazione, cercheremo per quanto possibile di osservare criticamente queste esperienze, concentrandoci in particolare sul ruolo fondamentale svolto dalle Ong che operano nel paese promuovendo formazione e creazione di capacities che possono anche portare a un maggiore empowerment delle comunità locali e di alcune fasce di popolazione più svantaggiata, come le donne.

EXPERIMENTACIÓN DE MODELOS PARA EL FORTALECIMIENTO DE LAS INSTITUCIONES ENCARGADAS DE LA CONSERVACIÓN DEL PATRIMONIO CULTURAL: CASOS DE ESTUDIO EN CHINA Y EN EL SALVADOR

Mario Micheli - Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi Roma Tre

En la parte introductoria de este texto, con la finalidad de poner en evidencia el origen de las estrategias de intervención sectorial adoptadas actualmente, se resumirán las etapas principales que preceden el nacimiento de la Cooperación Italiana al Desarrollo. En efecto el ámbito de la conservación del patrimonio cultural ya había registrado, a partir de los años 50, una intensa actividad de intercambio a nivel internacional y de verdadera cooperación con los países en vías de desarrollo. Posteriormente se analizan modelos sectoriales decapacity building,especialmente eficaces y adaptables a otras realidades geográficas y culturales, experimentados en la República Popular de China y en El Salvador. La acción italiana en China se inició en el año 1988 y continuó sin interrupción durante un quarto de siglo. La creación de centros de capacitación de nivel regional primero, y posteriormente de nivel nacional, ha producido un cambio profundo en todo el país del nivel profesional de los especialistas que se ocupan de la conservación del patrimonio cultural tangible. América Central - y en particular El Salvador - representan una segunda zona geográfica especialmente adecuada para la experimentación de modelos de intervención caracterizados por evidentes conexiones con problemáticas sociales. Entre las actividades realizadas en El Salvador en el cuatrienio 2009-2013 por la Cooperación Italiana a través del Instituto Italo-Latino Americano, junto con la Universidad Roma Tres, las universidades centroamericanas y las instituciones nacionales competentes para los distintos sectores de intervención, particularmente relevante fue la realización delSeminario Centroamericano sobre la conservación y la valorización del patrimonio cultural - CULT 2011que produjo laDeclaraciónde San Salvador para la potenciación de la conservación y de la protección del patrimonio cultural Centroamericano y del turismo sostenible, punto de partida para una acción de desarrollo orgánica y compartida a nivel regional.

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